Le origini
La Calabria fu sotto il dominio bizantino sino agli inizi dell'XI secolo, permettendo che la regione conservasse la cultura e la lingua greca e che nel territorio si sviluppasse il cristianesimo di rito bizantino piuttosto che di rito latino. L'Italia meridionale divenne in quei secoli una delle principali mete dei monaci ortodossi provenienti dall'oriente, soprattutto a partire dal VII secolo dopo la lotta degli iconoclasti. In Aspromonte sorsero moltissimi monasteri, soprattutto nella Vallata dell'Amendolea e nella Vallata dello Stilaro e vi furono parecchi santi italogreci.
Proprio nella vallata dello Stilaro visse ed operò nel IX secolo San Giovanni Theristis. Dopo la sua morte la sua fama presso le popolazioni della zona crebbe così tanto che esse lo acclamarono santo e divennero meta di pellegrinaggio i suoi luoghi ed il suo aghiasma (fonte sacra).
Vita del Santo Giovanni Theristì
Il santo padre Giovanni Terista era originario del territorio della città di Stilo, figlio di genitori cristiani nobili o ricchi, e suo padre era arconte di un villaggio chiamato Cursano.
Giunti una volta dall’isoIa di Sicilia alcuni barbari, per mare, con delle navi, nella prodotta regione, devastando e depredando molte città e villaggi, devastarono anche il predetto villaggio di Cursano ed uccisero il padre del santo, mentre condussero schiava la madre, che era incinta, nel loro paese nella città di Palermo; lì uno dei loro arconti la prese in moglie. Quando partorì generò questo venerabile fanciullo, che la madre allevava nella disciplina e nella ammonizione del Signore, mentre suo marito lo abituava ai suoi costumi barbarici. Quando fu di circa quattordici anni, la madre gli disse: << Sappi, o figlio, che questa non è la nostra patria, né questa è la tua patria, ma sei figlio di un nobile: io fui condotta schiava qui, mentre tuo padre fu ucciso da questo popolo barbaro in Calabria, nella nostra patria, vicino allo Stilaro, presso il fiume sopra un monastero detto di… Rodo Robiano… sotto il monte di Stilo, nel quale villaggio vi è il nostro palazzo, ed in esso nascondemmo i nostri tesori >>, e gli indicò il luogo dove li avevano posti. Dopo di ciò lo ammonì con parole salutari, dicendo:
<< Figlio, nessuno può salvare la sua anima senza il battesimo, che è donato nella nostra patria, dove vi sono i cristiani ortodossi: infatti, restando qui, non potrai salvare la tua anima, giachè non hai chi ti battezza; se riceverai questo, guadagnerai il regno dei cieli >>. La beata madre, detto ciò ed aItre parole simili a queste, mosse e spinse suo figlio al divino zelo di diventare cristiano. Avendolo visto fermo e.... nella fede di Cristo gli disse le parole del profeta: << Affida al Signore la cura di te, ed egli ti nutrirà >> ed avendo detto così, gli diede la materna benedizione e lo mandò via; quello, allontanatosi dalla madre, andò via.
Giunto presso il mare, trovò lì una barchetta e si imbarcò. Avendolo visto alcuni marinai barbari, Io inseguirono; ma egli, presa la croce che aveva ed essendosi voltato, li disperse: infatti scomparvero. Giunto dalle parti di Silo sbarcò dalla barchetta, ma gli uomini di quella regione, avendolo visto vestito con un abito barbarico, lo credettero un barbaro o lo condussero dal vescovo. Avendogli chiesto il vescovo: << Da dove vieni? e cosa vuoi? >>, rispose: << Vengo dal paese dei barbari desiderando diventare cristiano, e ricevere il santo battesimo, che, ho udito, è somministrato in questa regione >>.
Il vescovo, per metterlo alla prova, gli disse: << Non puoi essere battezzato, essendo così grande di età, se prima non ti gettiamo una pentola di olio bollente >>. Quello subito con ardore rispose: << Sono pronto a sopportare tutto; sia fatto come vuole la tua signoria, affinchè riceva questo santo battesimo: infatti sono venuto per questo >>. Allora il vescovo comandò di porre sul fuoco una pentola di olio a bollire, e stava ad osservare l’ardore del giovinetto: quello eccitava il fuoco, affinchè bollisse subito, e quando vide che la pentola già bolliva, incominciò a togliersi le vesti, per gettarsi nudo nella detta pentola. Avendo visto ciò il vescovo che era stato a vedere e ad ammirare la sua audacia corse o glielo impedì, ed avendoIo preso lo portò in chiesa con molto o grande onore, lo battezzò e lo chiamò dal proprio nome Giovanni, e si trattenne li con, lui un numero sufficiente di giorni, in cui lo ammaestrò o gli insegnò le cose della fede. In quei giorni il santo, andando spesso in chiesa vedeva molto icone dipinte di differenti santi ed interrogava quelli che erano con lui dicendo: << Di chi è questa icona? e quest’altra di chi è? >> e così per le altre. Giunto presso l’icona di San Giovanni Battista chiese: << E chi è questo, vestito di una pelle di cammello? >> E gli risposero: << Questo è San Giovanni Battista, che tu devi imitare: tu infatti ti chiami Giovanni come questo santo, e perciò dovrai imitarne la vita >>. Avendoli esortati a narragli la vita di questo santo, gli dissero che questo santo andò nel deserto cd ivi trascorse il resto delta vita. Egli, avendo udito ciò, fu riempito di amore divino, ed andato dal vescovo gli chiese il permesso di andar in un luogo deserto dove potesse vivere in solitudine o salvare la sua anima; e gli mostrarono un luogo selvoso sul monte ch era a settentrione, a circa due miglia di distanza, dove vi era un cenobio, dicendogli: << In quella casa abitano alcuni monaci che osservano la regola e l’ascesi del grande Basilio >>. Il santo giovanetto giunto in quel luogo, vi trovò i santi padri Ambrogio e Nicola. Egli li chiamava affinché lo accogliessero lì come monaco, ma quelli risposero: << Ritorna, o figlio, nel mondo; infatti sei ancora giovanetto, o sei venuto qui più per molestarci che per qualche buona intenzione >>, ma quello con umiltà rispose: << O padri, non sono venuto da voi per qualche cattiva intenzione, ma solo desiderando la salvezza della mia anima >>. E quelli allontanati da noi, o figlio — dissero — perché non potrai sopportare qui con noi la regola del nostro grande padre Basilio, che noi sopportiamo, perchè essa è molto rigida >>. Ma quello rispose: << Potrò, venerandi padri, con l’aiuto di Dio e col vostro mezzo, sottostare a tutta la regola ed osservarne tutte le norme; perciò sono venuto qui da voi >>. Quelli per molti giorni non lo fecero entrare, ma rimasero dentro a pregare, mentre il santo era fuori della porta aspettando con pazienza ed esortandoli continuamente ad accoglierlo.
Infine i padri; vedendone la perseveranza, Io condussero al monastero, lo vestirono dell’abito monastico e gli insegnarono la regola o l’ascesi del grande Basilio; e lì rimase vivendo santamente. Dopo non molto tempo il santo si ricordò dello parole che gli aveva dette sua madre, ed espose tutto a quei santi padri: che egli era di quella regione, del villaggio distrutto chiamato Cursano, figlio del nobile che era stato ucciso dai barbari, o che aveva tesori nascosti dove era il suo palazzo, e tutto il resto.
Uno di quei giorni dunque, il santo, avendo preso con sè uno di quei santi padri, andarono insieme nel luogo distrutto e cercarono i suoi tesori; avendoli trovati, li distribuirono ai poveri, secondo il precetto del loro padre, il grande Basilio.
Questo san Giovanni aveva una spelonca, non lontano dal monastero, dove vi ora dell’acqua, e questa spelonca oggi si chiama l’Acqua del santo; in essa spesso soleva recarsi da solo per la preghiera. Un giorno, nella stagione invernale, egli si trovava lì, secondo il suo costume, pregando, quando passò da lì un nobile, insieme ad a altri, che tornava dalla caccia; questi vide il santa nella grotta, e, credendo che si lavasse, si scandalizzò e voltatosi disse a quelli che erano con lui: << Vedete cosa fanno questi monaci? Si lavano per sembrare più freschi al mondo >>.
Appena detto ciò, subito nel corpo gli venne un fuoco che gli divorava lo viscere; ed andato così pieno di dolore a casa sua, si gettò al petto di su madre gridando acutamente o lamentandosi. La madre gli disse: << Cosa hai, o figlio? >> e quello rispose: << Sento un fuoco che mi distrugge il corpo, Ahimè, o madre>>. Avendogli chiesto: << Cosa hai fatto oggi? Dove sei stato? E per quale via sei passato? >> rispose: << Sono andato a caccia, e ritornavo per la via dinanzi alla spelonca, dell’acqua, e lì vidi un monaco che ai lavava, e mi scandalizzai; e subito venne in me questo dolore >>. Subito sua madre andò al monastero e trovò i santi padri che pregavano; e caduta ai loro piedi, narrò loro tutto chiedendo perdono per il peccato di suo figlio. San Giovanni, piegato dallo piegato dalle preghiere supplichevoli della donna, le diede un vaso dicendo: << Recati presso quella spelonca, riempi questo di quell’acqua, e dalla a bere a quel tuo figlio >>. Avendo la donna fatto ciò, subito si spense quel fuoco, ed il nobile guarì con l’aiuto di Dio e per mezzo di san Giovanni Terista. Avendo visto il miracolo,il nobile e sua madre consacrarono a quel monastero questo podere; e da quella malattia del fuoco, questo podere è chiamato tutt’oggi << Pyriton >> (campo del fuoco).
Vi era in Robiano, dove oggi si chiama Monasteriaci, un altro nobile, che era un benefattore del monastero, ed ogni anno soleva dare ai santi padri ciò che serviva per i loro bisogni. Una volta san Giovanni, nel mese di giugno, nell’epoca della mietitura, voleva andare da lui; preso con olio un piccolo vaso di vino ed un poco di pane o si avviò. Giunto nei luoghi chiamati Muturabolo o Marone vide una moltitudine di mietitori che mietevano i campi del detto nobile. Questi allora, visto il santo, cominciarono a prenderlo in giro ed a deriderlo, ma quello, avvicinatosi, li salutò e chiamatili diede a tutti da mangiare e da bere del pane e del vino che aveva; o mentre tutti si saziarono, il suo pane ed il vaso non furono diminuiti. Il santo, avendo visto ciò, cadde a terra ringraziando Dio o mentre egli pregava si levò il vento o cadde la pioggia. Tutti i mietitori fuggirono sotto gli alberi, o solo il santo rimase lì a pregare. Terminata la sua preghiera, vide quei campi mietuti o tutti i manipoli legati, o ritornò al proprio monastero. Terminata la pioggia, tornarono i mietitori a trovarono il loro lavoro, e trovarono tutto già mietuto e legato, mentre non trovarono il santo. Andarono allora a casa del loro padrone per prendere la mercede, cantando e saltellando, lungo la strada. Il loro padrone, avendoli incontrati per strada, incominciò a rimproverarli ed a biasimarli dicendo loro: << Sciocchi e dissennati, perchè avete fatto ciò? Chi vi ha insegnato a lasciare il lavoro a mezzogiorno nel tempo della mietitura? >> Essi allora gli risposero: << Padrone, tutto è mietuto e legato >>, quello allora disse: << Come può essere ciò, che trenta altri mietitori, non compirebbero ciò neanche per domani >>. Quelli maggiormente gli confermavano ciò che avevano detto, ed allora egli chiese: << Avete preso forse qualche aiutò? >>. Risposero: << Non abbiamo avuto altro aiuto se non un monaco di quelli che sono nel monastero, che venne da noi, che ci diede da mangiare e da bere, e che poi non abbiamo visto più >>. Allora disse quel nobile: << Quale monaco con l’aiuto di Dio ha mietuto i miei campi, e voglio che questi campi siano suoi >>, e consacrò al monastero i predetti fondi di Muturabolo e di Marone che il monastero tutt’ora possiede; e per questo miracolo il santo fu chiamato Terista.
Un altro nobile di nome Ruggiero, figlio del re di quella regione, aveva nel volto un’ulcera inguaribile, che non poteva essere curata da nessun medico. Questi, avendo udito la fama di questo santo, che faceva miracoli, guariva molti da diverse malattie e scacciava molti demoni dagli uomini, pieno di coraggio andò a lui, ma trovò che era partito da questa vita, e le sue spoglie giacenti. Caduto per terra dinanzi ai suoi piedi, molto lo invocò dicendo: << Beato Giovanni, ti chiedo non per me, ma per la tua bontà e misericordia, supplica per me la misericordia di Dio, affinchè mi liberi da questa malattia che ho nel viso >>, ed avendo detto ciò, prese il lembo della veste del santo e con quello si nettò il volto, e subito fu liberato da quella malattia, senza che alcun segno rimanesse sul suo volto. Quel nobile, visto ciò ed altri miracoli compiuti dinanzi a lui, glorificò Dio e questo suo santo Giovanni Terista e per il beneficio ricevuto restaurò tutto il monastero e la chiesa, e consacrò ad esso molti fondi e molti possedimenti, che il detto monastero tuttora possiede.
L'antico monastero
Nel luogo di questo aghiasma sorse nell'XI secolo un monastero bizantino a lui intitolato. Esso si sviluppò in periodo normanno come uno dei più importanti monasteri basiliani nel Meridione d'Italia e mantenne splendore e ricchezza sino al XV secolo. I suoi monaci erano molto dotti e possedeva una vasta biblioteca e ricchi tesori.
Il monastero cominciò a conoscere in seguito fasi di declino, come tutti i monasteri greci della zona: nel 1457 il Visitatore Apostolico del Papa ne constatava la decadenza.
Il complesso architettonico
“A settentrione di Stilo una catena di modica elevazione separa le due contigue e parallele vallate dello Stilaro e dell’Assi. A cavallo del valico che collega i due bacini e che dovette essere attraversato da una mulattiera assai malagevole ma altrettanto frequentata nei tempi di mezzo, sorgono le ruine di S. Giovanni Vecchio quasi all’altezza di Stilo, emergenti in mezzo a macchie di neri elci e di verdi quercie e così segregate dal mondo per la profonda vallata che ben pochi degli Stiletani le conoscono, e nessuno studioso dell’arte medievale le aveva visitate.
In questa chiusa e quasi mistica solitudine assai prima del sec. X sorse un umile monastero basiliano, il quale verso il 1100 fu nobilitato ed assurse a grande fama per la presenza di S. Giovanni Theresti, e poco appresso per la sontuosa riedificazione fattane da uno dei due Ruggeri. Anzi a tanto assurse la sua fama, da esser proclamato caput monasterium ordinis S. Basilii in Calabria” .
Con queste parole Paolo Orsi descrive il pittoresco scenario, così mistico e solitario, in cui ritrova quasi casualmente le rovine del monastero di San Giovanni Therestìs, presso Bivongi, scoperta della quale si attribuisce la paternità.
La prima menzione di un monastero intitolato a San Giovanni Theristìs appare nell’atto di fondazione della diocesi latina di Squillace (1096) . Il monastero era tuttavia da tempo attivo, come apprendiamo dal cartolario del monastero, Gerasimo Atoulinos aveva fondato, secondo André Guillou a cavallo tra l’età bizantina e quella normanna, una comunità monastica su una sua proprietà, stabilendone per essa l’indirizzo spirituale. A partire dalla fine dell’ultimo decennio dell’XI secolo le fonti forniscono tuttavia una serie di informazioni dirette e indirette che evidenziano il condensarsi dell’attenzione della famiglia comitale normanna per il monastero di San Giovanni Theristìs concretizzatasi attraverso l’inserimento dell’autorità normanna nella conferma dei nuovi igumeni e in una munifica promozione del suo stato patrimoniale.
Da un punto di vista architettonico la chiesa si configura come un edificio ad impianto longitudinale a T, con lunga aula mononave, presbiterio triabsidato con profilo scalare, cupola innestata su alto tamburo composito all’incrocio del transetto con la navata. Una delle caratteristiche più interessanti dell’edificio risiede soprattutto nel contrasto tra la semplicità costruttiva e ornamentale della navata e la complessa soluzione tectonica e decorativa della zona presbiteriale. Questa è generata dall’articolazione di tre vani quadrati gravitanti intorno ad uno centrale di dimensioni leggermente maggiori rispetto ai primi due e culminante nella sorprendente elevazione verticale della cupola. I due vani posti sull’asse trasversale nord-sud a costituire il transetto, presentano pianta quadrata con il lato orientale munito di absidiola priva di coro e poco pronunciata esternamente. Tra i due si colloca il vano centrale seguito sul lato a oriente da un breve bema rettangolare concluso dall’abside. È nel punto di innesto tra navata e transetto che il sistema si manifesta nel suo intero sviluppo spaziale: l’invaso si espande verso l’alto con una sequenza di tre tamburi sovrapposti in asse, la cui ampiezza diminuisce progressivamente, e terminante nella calotta emisferica.
Il primo tamburo, quadrato, è provvisto sui lati longitudinali di una doppia cornice a denti di sega; il secondo, ottagonale, si apre in quattro finestrelle alternate ad altrettante quattro trombe a cuffia angolari a duplice risalto; il terzo volume, cilindrico, presenta un leggero sbalzo mediano che genera una contrazione del diametro della cupola conferendole il tipico profilo di gusto islamico. La crociera si apre sui due ambienti laterali con archi a pieno sesto, mentre verso l’aula e il bema con grandi arcate a profilo acuto.
Il complesso monumentale, dopo il suo abbandono avvenuto il 12 marzo del 1662 a causa del trasferimento dei monaci e delle reliquie dei santi teofori Giovanni il Mietitore, Nicola e Ambrogio nella vicina Stilo, è stato restaurato nelle sue forme stilistiche attuali a partire dal 1984 e nuovamente abitato dai monaci ortodossi greci della Repubblica monastica del monte Athos, dal marzo del 1994, e della Chiesa ortodossa rumena a partire dal luglio del 2008.
La rinascita
Nel Seicento una banda di briganti creò molte difficoltà al monastero e nel 1662 i monaci lo abbandonarono definitivamente per trasferirsi nel convento più grande di San Giovanni Theristis fuori le mura a Stilo, dove furono portate le reliquie di San Giovanni Theristis e dei Santi asceti Nicola e Ambrogio.
All'inizio dell'800, in seguito alle leggi napoleoniche sui beni ecclesiastici, divenne proprietà del comune di Bivongi. Appartenne poi a diversi proprietari, che lo adattarono all'uso agricolo. Gli eredi dell'ultimo proprietario lo donarono nel 1980 nuovamente al comune di Bivongi.
Il monastero, dismesso nel corso del XVII secolo con il trasferimento dei monaci a Stilo, fu scoperto da Paolo Orsi nel primo decennio del 1900, il quale per la lontananza dal centro urbano e per la mancanza di una comoda viabilità nulla poté fare per salvaguardarlo. Il San Giovanni fu "riscoperto" nel 1965 da Franco Ernesto, allora sindaco di Bivongi, il quale si adoperò affinché il monastero ed il Katholicon fossero conosciuti e salvaguardati. Nel 1990 cominciarono i lavori di ristrutturazione dell'edificio e dell'area per riportarlo ad essere nuovamente un luogo di preghiera per i monaci ortodossi. Nel 1994 cominciarono a vivervi stabilmente i primi monaci athoniti provenienti dal Monte Athos e nel dicembre dello stesso anno il Consiglio Regionale della Calabria dichiarò sacra l'area compresa fra i fiumi Stilaro e Assi per facilitare l'insediamento dei monaci. Il 24 febbraio 1995 il comune di Bivongi consegnò ufficialmente il monastero all'Arcidiocesi Ortodossa d'Italia per un tempo di 99 anni. Questo monastero è il primo in Italia ad essere stato fondato da monaci athoniti provenienti direttamente dall'Athos.
Il 21 marzo 2001 il monastero fu visitato dal Patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I, che vi riportò una reliquia di San Giovanni Theristis dall'omonima chiesa di Stilo. Nel 2002 sono stati definitivamente ultimati i lavori con il completamento della ricostruzione del katholikon.
Nel 2008 il Consiglio comunale di Bivongi, ha concesso l'uso del Monastero per 99 anni alla Chiesa ortodossa rumena in Italia in seguito alla mancata custodia da parte dei Greci, così come accadde qualche mese prima con il Monastero di Badia a Mandanici in Sicilia, tornato nelle mani del Comune che lo aveva concesso.
Ultimi interventi
Nel 2015 il Monastero è stato oggetto di interventi di ristrutturazione che hanno riguardato...